Vento in poppa e via a 50km/h. Andrea a routa. Facile così, anche con oltre 110km e un paio di migliaia di metri dislivello nelle gambe; sono molto soddisfatto del nostro giro nell’Oltrepò Pavese con il Penice a fare da cima coppi.. Siamo venuti sin qui per evitare le possibili piogge preannunciate nell’arco alpino.
Sono molto soddisfatto, perchè dopo un inizo sonnolento, anche
per via delle poche ore di sono, la gamba ha iniziato girare benino, e mi ha regalato qualche cambio di ritmo interessante che
è da ritestare ovviamente. E poi lei, l’Orca, appena ritornata in strada, non è affatto cambiata,
sempre pronta, sempre reattiva, sempre in attesa della sfuriata da parte di chi la
conduce. Una sicurezza. Proprio come se non fossero passati nove mesi dall’ultima
volta, dal sanpietrino del San Gottardo.
50km orari appunto. Ci immettiamo in un’alta strada verso destra, un cartello indica Casteggio ad un km, e difatti il paese ora si intravede in fondo alla fine del lungo rettilineo. Il vento è
cambiato, inutile tirare ora, penso, quindi la velocità si riduce a 46 fino poi a 40km/h, e la mantengo regolare. A parte
la minaccia di piogga dei nuvoloni neri sopra la testa, tutto tranquillo, un
bel birrozzo ci aspetta.
Invece no, un attimo fatale, una distrazione e tutto cambia: sento la bici tremare, cercare di spostarsi, e di buttarmi fuori
strada, non è l’asfalto, non sono le buche, lo so cos’è, cavolo(!). E’ la ruota
di Andrea che tocca la mia ruota, stringo il manubrio, continuo a pedalare,
trattengo il fiato, e tendo l’orecchio, sperando di sentire solo il suono del vento o delle auto, invece inesorabile mi
sopraggiungere il suono sordo del tonfo di Andrea, seguito dal rumore di
grattuggia del carbonio della bici che tocca l’asfalto. Mmmme**a, è caduto!
Rallento bruscamente, ma non mi giro
subito, lascio passare quel tempo che servirebbe ad Andrea di rialzarsi, di imprecare
e di riprendere la bici. Mi giro, non è così. Lo vedo seduto, buon segno, ma si
tiene un braccio, cattivo segno. Dietro di lui una macchina ferma con le
quattro frecce. Il solo vederla mi conforta. (Grazie!)
Mi avvicino, lo trovo tutto impolverato, divisa a brandelli,
squartata in più punti, escoriazioni ovunque, sguardo perso, ed il braccio che
non vuole sapere di muoversi. La bici è
li accasciata ad un metro, in mezzo all’erba alta, giù in una specie di fossato insieme a vecchie cartacce.
Chiamiamo l’ambulanza chiedono quelli della macchina? No, risponde Andrea.
Sei sicuro? Chiedo io.
No, risponde ancora.
Sei sicuro? Chiedo io.
No, risponde ancora.
Ok chiamiamo l’ambulanza.
Prognosi: frattura scomposta al gomito.
Rivedo un film già visto, nove mesi fa, mi spiace davvero
un sacco.
In bocca al lupo amico mio!
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